Perché in tanti polemizzano sui compensi dei conduttori e degli ospiti di Sanremo?

 

La Cherofobia e le sue forme inconsce

 

Eccoci di nuovo a Febbraio, ed ecco tornare il Festival della Musica Italiana, con tutta una serie di immancabili polemiche annesse. Il 5 Febbraio inizierà il “Festival di Sanremo”, ma le polemiche sono già cominciate da un po'.

 

(foto: archivio Ansa)

 

In questo articolo ne voglio prendere in considerazione una in particolare che suona più o meno così:

“Con tutti i problemi che abbiamo in Italia, perché dobbiamo dare tutti questi soldi a gente che sta lì per non fare quasi niente (e a ciò magari segue tutta una serie di svalutazioni sul lavoro, sui modi o sul pensiero del personaggio in questione) mentre ci sono milioni di disoccupati e tante persone sottopagate che si spaccano la schiena?”

 

 

Baglioni, Bisio e Virginia Raffaele il bersaglio attuale di una polemica che si ripete annualmente.

Sotto una prospettiva “reale”, la polemica è facilmente smontabile: gli introiti provenienti dalle pubblicità mandate in onda durante il Festival superano di gran lunga i cachet dei conduttori e, a sua volta, la presenza stessa di conduttori dalla grande attrattiva contribuisce largamente a incentivare le aziende a investire in pubblicità mandate in onda durante il Festival. Non sono, dunque, i soldi dei contribuenti a rendere i ricchi i conduttori: non si ruba ai poveri per dare ai ricchi!

 

Allora come mai questa polemica è così diffusa e si ripete puntualmente ogni anno?

Avete mai fatto caso a quanto modalità di pensiero analoghe possano presentarsi anche relativamente a situazioni molto diverse e nelle dinamiche della vita quotidiana? Vi siete mai chiesti come mai, come direbbe Marco Monty Montemagno, “se hai successo in Italia sei uno stronzo”?

 

Qualcuno di voi sicuramente ricorderà la tragedia di Rigopiano, la valanga che il 18 Gennaio 2017 travolse e distrusse l'albergo Rigopiano-Gran Sasso Resort, causando 29 vittime. Degli 11 sopravvissuti, 9 persone furono estratte dalle macerie dopo diversi giorni passati a digiuno e al freddo, terrorizzati dalla paura e doloranti per le ferite.

Una delle ragazze salvata dai soccorsi festeggiò sul suo profilo Facebook la salvezza, l'essere “sopravvissuta” e ciò, oltre a commenti entusiastici e partecipati, portò a una non esigua mole di critiche che l'accusavano di essere una persona insensibile, crudele e senza cuore, dato che stava festeggiando la sua vita mentre altre persone erano morte schiacciate dalle macerie dell'albergo.

 

  • Ma perché dovrebbe essere una colpa festeggiare la propria sopravvivenza quand'anche altre persone sono morte?

  • Perché non si dovrebbe poter essere felici di essere sopravvissuti e contemporaneamente dispiaciuti per la morte di altre persone?

  • Perché il dispiacere per gli altri dovrebbe tradursi in un malessere che proviamo noi stessi o ci dovrebbe portare a privarci di felicità, benessere e altre cose positive?

  • Perché, dunque, dovrebbe essere una colpa essere felici, avere successo, stare bene, essere fieri di sé o per giunta essere sopravvissuti?

 

Con la canzone che ha presentato allo scorso X Factor, Martina Attili ha posto all'attenzione del grande pubblico una sindrome psicologica fino ad allora ben poco conosciuta: la Cherofobia.

 

La Cherofobia è una “Fobia Specifica”, maggiormente diffusa in Oriente, che ha come oggetto la felicità. Nelle culture orientali, infatti, la realizzazione personale viene spesso considerata un ostacolo al benessere della collettività, come se perseguire felicità, benessere e successo costituisse un “furto” ai danni degli altri. Tuttavia, la dinamica alla base della Cherofobia, come avete potuto ben vedere dagli esempi di cui sopra, non è una prerogativa dei popoli orientali, ma riguarda tutta l'umanità.

In Occidente la paura della felicità assume spesso forme inconsce, espressione di un particolare senso di colpa (del Sopravvissuto), che si basa su credenze patogene per cui il successo, la realizzazione e la felicità possono essere ottenute solo a scapito di qualcun altro, come se corrispondessero all'ultima fetta di torta sul tavolo di una cena condivisa con amici e parenti.

 

Il senso di colpa del Sopravvissuto sorge da una disposizione emotiva normale che tutti noi abbiamo e che, insieme ad altre, è alla base di quei comportamenti umani che costituiscono la cooperazione e l'empatia. Pensateci: se la mattina mi alzassi prima di mia moglie e dei miei figli e facessi colazione mangiando tutti i biscotti, lascerei le persone a cui voglio bene a stomaco vuoto; se giocassi lo stipendio mio e di mia moglie alle slot machine, lascerei i miei figli morire di fame.

 

Tale disposizione emotiva, pertanto, ha molto senso se applicata a cose concrete che abbiano quantità limitate e nella misura in cui ci si appropri di qualcosa che effettivamente è di altri. Non ha affatto senso, al contrario, se riferita a bisogni personali, cose desiderabili la cui quantità non è limitata (come la vita, il successo, la stima di sé, l'appagamento personale, la felicità e il benessere) o quando non c'è nessuna relazione tra chi “prende qualcosa” e chi invece “non ce l'ha”. Il povero non è di certo senza denaro a causa del compenso di Baglioni al Festival, i sopravvissuti di Rigopiano non sono certo causa della morte di chi invece non ce l'ha fatta.

 

Ma quando questa tendenza emotiva normale e universale può divenire problematica? E cosa può capitare quando si arriva a vivere, consciamente o meno, la propria felicità come una colpa?

 

Malesseri psicologici e comportamenti autolimitanti possono talvolta essere il prezzo inconsciamente auto-imposto per espiare il peccato di essere “sopravvissuto" all'infelicità di familiari, partner o amici.

 

Questo senso di colpa può divenire ancora più forte quando durante l'infanzia e l'adolescenza:

  • siamo stati scoraggiati, ostacolati o invidiati per la nostra felicità, per la nostra realizzazione o quando ci sentivamo orgogliosi di noi stessi;

  • quando ci è stato ripetuto di volare basso o di essere umili;

  • quando una persona a cui abbiamo voluto bene soffriva o ci svalutava nel vederci raggiungere traguardi non alla sua portata;

  • quando un rapporto con un genitore o un fratello (sorella) era possibile solo a spese della propria vitalità, delle proprie capacità o delle proprie ambizioni;

  • ecc.

 

Chi soffre del senso di colpa del Sopravvissuto, di una delle forme inconsce di Cherofobia, può:

  • avere una bassa stima di sé nonostante grandi qualità che non riesce a riconoscersi;

  • essere profondamente a disagio all'idea di essere invidiato o ammirato;

  • boicottare la propria auto-realizzazione (ad es. non intraprendendo il percorso formativo o lavorativo amato oppure portando avanti storie sentimentali insoddisfacenti);

  • non riuscire a godere delle proprie vittorie oppure deprimersi o divenire ansioso dopo ogni successo;

  • temere un futuro infelice;

  • vivere i normali fallimenti o situazioni spiacevoli della vita come una gabbia da cui non è possibile fuggire;

  • rimanere intrappolati da una forte invidia o svalutazione/critica nei confronti delle persone che ritiene migliori di lui o che hanno di più (ecco la risposta al perché delle polemiche);

  • ecc.

Per queste persone essere felici è un reato. Un reato che la persona ha bisogno di vedere depenalizzato dall'ambiente intorno a lui, o in psicoterapia.

 

Prima di lasciarvi, vi racconto una piccola storia a lieto fine di una giovane donna che ha superato il suo senso di colpa del Sopravvissuto grazie ad alcune circostanze fortuite.

 

Ho incontrato Federica – una giovane donna in carriera, vitale e socievole – mentre mi trovavo in treno, di ritorno verso Roma. Cominciammo a chiacchierare presto e, saputa della mia professione, volle raccontarmi del tribolato percorso che l'aveva condotta a conoscere l'uomo che sta per sposare e ad essere finalmente felice, dopo relazioni sentimentali piuttosto insoddisfacenti.

In adolescenza, si era fidanzata con il belloccio della scuola, un latin lover che non faceva altro che tradirla, mentre lei sembrava cieca alle palesi infedeltà del ragazzo e sorda agli avvertimenti delle amiche. Solo quando lui la lasciò, Federica aprì gli occhi e si rese conto di come si era fatta trattare. Dopo di lui, si legò a un ragazzo che non le piaceva fisicamente e che con la sua profonda apatia contrastava ogni suo slancio vitale (spesso si rifiutava di uscire in gruppo e pretendeva che lei rimanesse a casa con lui davanti alla tv, trovava mille scuse per non andare in vacanza o andare a fare anche piccole passeggiate, ecc.), ma con cui si sentiva sicura che non sarebbe mai stata tradita. Federica, che era una ragazza vitale, ambiziosa e sempre circondata da amici, condivise per due anni la vita piatta che il suo ragazzo pretendeva lei vivesse con lui, si deprimette e cominciò a dubitare anche di poter avere una carriera lavorativa di successo, nonostante fosse stata una studentessa brillante e molto apprezzata in vari contesti lavorativi. Accadde però qualcosa che cambiò completamente il corso della sua vita.

 

Inaspettatamente, una multinazionale a cui aveva mandato il curriculum le propose un'offerta di lavoro allettante con una prospettiva di carriera molto ambiziosa. Federica accettò immediatamente, si sentì al settimo cielo e dopo poco tempo si rese conto di non poter sopportare più la storia sentimentale che stava portando avanti. Lasciò il ragazzo e, dopo qualche mese, si fidanzò con un uomo vitale, dolce, ambizioso e intelligente che da allora ha sempre incoraggiato la sua carriera e si è sempre mostrato felice di condividere momenti gioiosi con lei – sia da soli sia con gli amici di entrambi – non ostacolandola mai quando Federica voleva uscire da sola con le sue amiche. Si sposeranno tra 10 mesi.

 

Una storia molto bella – le dissi –, posso chiederti se uno dei tuoi familiari è insoddisfatto di qualche aspetto importante della sua vita o è apatico o poco ambizioso?”

Come fai a saperlo? … Mio padre è sempre stata una persona apatica e ha avuto una carriera lavorativa molto al di sotto delle sue possibilità, ha rifiutato un'offerta di lavoro allettante perché avrebbe dovuto viaggiare molto... io l'avrei presa al volo... e di fatti così ho fatto... mia madre invece è una persona intraprendente come me... di fatti ho sempre avuto una maggiore confidenza con lei... con mio padre ci potevo condividere poco...”

Come se implicitamente ti avesse rimandato che per poter avere un rapporto con lui dovevi appiattirti e condividere la sua apatia?” “Come con il mio precedente ragazzo... non ci avevo mai pensato...” “Il primo ragazzo era una ribellione a quest'ordine di cose, ma era come se ti sentissi in colpa e ti fossi punita per questa ribellione... accettando e non vedendo il modo con cui lui ti trattava... hai sentito inconsciamente allora di dover ritornare su un tipo di relazione più rassicurante, ma insoddisfacente... fino a quando il tuo nuovo lavoro non ti ha fatto sentire in diritto di avere successo e di poter avere il tipo di relazione che tu volevi...” Stupita e con le lacrime agli occhi, Federica mi regala un sorriso e un flebile grazie. “Non accontentarti mai!”, la saluto mentre la mia fermata è vicina.

 

Voi, se non avete voglia di aspettare la fortuna e non volete rischiare che la vostra Cherofobia non vi consenta di goderne, fate pure riferimento a noi (counselling@cmt-ig.org oppure 3405744646) e verrete messi in contatto con uno dei nostri consulenti (psicologi e psicoterapeuti) per un Ciclo di 5 incontri di Consulenza Psicologica alla tariffa agevolata di 250 euro (Roma, Milano, Torino e, tramite videoconsulenze, in tutta Italia).

Siate fieri di voi e continuate sempre a inseguire i vostri sogni!

 

Dott. Giuseppe Stefano Biuso