Del fatto che la capacità di desiderare sia una delle cose che ci contraddistingue come esseri umani è stato detto e scritto parecchio. Per di più, si sente spesso dire che tendenzialmente ciò che vogliamo è ricercato in modo istintivo: sappiamo cosa che ci serve per stare bene, e ci muoviamo verso quella direzione.
Ma allora, che dire di quei momenti in cui abbiamo la sensazione di non sapere cosa vogliamo davvero? Cosa vogliamo da una persona, cosa desideriamo per il nostro futuro, o anche semplicemente quando ci fermiamo un attimo a pensare a chi siamo, a quali siano le nostre passioni, le nostre inclinazioni, e ci rendiamo conto che non sappiamo darci una risposta?
Ci si può sentire persi, senza una direzione, bloccati; e probabilmente anche strani e diversi dagli altri, che sembrano essere così sicuri dei loro obiettivi e
desideri.
Se accettiamo la concezione che abbiamo una capacità innata di ricercare cose per noi piacevoli, e
prendiamo atto del fatto che abbiamo passato con noi stessi tutta la nostra vita, ragion per cui dovremmo conoscerci piuttosto bene, come si può venire a patti con questa sensazione? La
verità forse risiede in una differenza sottile tra ciò che vogliamo e ciò che ci sentiamo in diritto di volere.
Potrebbe essere, per esempio, che siamo cresciuti in un ambiente familiare in cui abbiamo sviluppato la convinzione che, se avessimo avuto idee o inclinazioni diverse da quelle
dei nostri genitori, questi ultimi avrebbero sofferto.
È necessaria una precisazione: non è detto che convinzioni di questo tipo si generino solo da esperienze in cui comunicazioni del genere ci siano state fatte in maniera diretta, né che siano
fatte con cattiveria. Magari quando eravamo piccoli nostro papà era felicissimo all’idea che ci piacesse giocare a calcio come a lui, ma storceva il naso ogni qual volta gli chiedevamo di
cambiare musica durante un viaggio in macchina, perché la sua non ci piaceva.
Magari ogni volta che provavamo con mamma a esprimere idee diverse dalla sua, la vedevamo rabbuiarsi, o arrabbiarsi, o troncare la conversazione. Magari qualcuno ci ha preso in giro per un libro che avevamo scoperto per caso e che ci appassionava tanto.
Magari, a un certo punto, i nostri genitori ci hanno segnato a pianoforte, e quando abbiamo provato a dire che non ci piaceva, che ci annoiava, non facevano che spronarci dicendo che avevamo
solo paura che fosse troppo difficile, ma loro sapevano cosa era meglio per noi: se si inizia da piccoli, poi si può diventare talenti eccezionali, e non sarebbe bello? Ah, se solo loro
avessero avuto genitori con queste premure! Dovevamo fidarci: li avremmo ringraziati, un giorno!
Così, certi istinti li abbiamo soffocati, e a oggi, ogni qual volta che qualcuno intorno a noi non sembra pensarla al nostro stesso modo, ci allarmiamo, ci sentiamo in colpa, ci mettiamo in discussione, e in ultima analisi potremmo anche finire per ritrattare quanto da noi espresso.
È importante sottolineare come il tutto possa partire da una necessità in realtà adattiva: quella di non far soffrire le persone a noi care, non deluderle, o non perdere in generale la relazione con loro.
Più si cresce, però, più una convinzione del genere, della quale spesso si è totalmente inconsapevoli, se molto radicata può portarci a vivere momenti di vera e propria crisi: siamo stati
così poco abituati a riflettere su cosa vogliamo veramente, indipendentemente da chi potrebbe essere d’accordo con noi o meno, che ad oggi abbiamo la sensazione di non sapere
affatto cosa vogliamo, e quindi, in ultima analisi, chi siamo.
Per non perdere gli altri, rischiamo di perdere un pezzetto di noi stessi.
Un percorso come quello offerto dalla psicoterapia breve in ottica CMT, allora, potrebbe essere di aiuto a far sentire più in diritto di mettere sé stessi, e i propri desideri, di nuovo al primo posto, e così a riscoprire chi si è davvero, e chi si vuole essere.
Dott.ssa Camilla Mannocchi