Quando ho paura di non poter scappare:

l'Agorafobia

Per agorafobia, termine dall'etimologia greca che letteralmente significa “fobia per la piazza”, si intende la sensazione marcata di ansia, paura o grave disagio che si attiva in situazioni in cui, in caso di malessere o imbarazzo, risulterebbe difficile fuggire oppure sarebbe scarsa la possibilità di trovare aiuto.

 

 

La quinta edizione del Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM-5) definisce l'Agorafobia come l'ansia o la paura marcate che si attivano almeno in due delle seguenti situazioni:

  • Utilizzo dei trasporti pubblici (es. metro, treni, aerei, automobili, bus, navi)

  • Trovarsi in spazi aperti (es. parcheggi, mercati, ponti)

  • Trovarsi in spazi chiusi (es. negozi, teatri, cinema)

  • Stare in fila o tra la folla

  • Essere fuori casa da soli

 

Chi soffre di agorafobia teme e tende a evitare tali situazioni; quando vi si ritrova, la sua paura e la sua ansia tendono facilmente a sfociare in forti stati d'ansia o in un attacco di panico.

Una tale condizione può compromettere significativamente il funzionamento quotidiano dell’individuo e limitarlo considerevolmente nelle sue attività.

 

È un disturbo che tende a manifestarsi soprattutto nella tarda adolescenza e nella prima età adulta, ma è possibile che insorga anche in altre fasi della vita.

 

L’agorafobia può avere cause molte diverse, ma è sempre comunque espressione di un disagio profondo della persona.

 

Un paio di esempi.

Una donna aveva sviluppato la credenza patogena che allontanandosi dalle persone a cui vuole bene le avrebbe fatte soffrire, perché aveva avuto una relazione traumatica con la propria madre: infatti, ogni volta che da piccola raggiungeva gli altri bambini nel cortile condominiale per giocare con loro la madre si angosciava, l'accusava di farla preoccupare e di lasciarla sola.

Quando, a 30 anni, lasciò la famiglia di origine per andare a convivere con il fidanzato, cominciò a sviluppare inaspettatamente una forte paura all'idea di uscire da sola, di guidare e di prendere i mezzi pubblici: ciò la portò a prendere in considerazione la possibilità di tornare a vivere con i genitori, in quanto avrebbe così potuto raggiungere ogni giorno a piedi e in pochi minuti l'ufficio presso cui lavorava.

La sua agorafobia esprimeva un inconscio senso di colpa da separazione, un'ingiusta autopunizione per essersi allontanata dalla madre che la ostacolava nel suo desiderio sano e normale di andare a vivere con l'uomo che amava.

 

Un uomo aveva sviluppato la credenza patogena che stare male e chiedere aiuto è da falliti, perché il padre glielo aveva spesso ripetuto per tutto il corso della sua infanzia e della sua adolescenza. In seguito alla morte di entrambi i genitori, che aveva sempre molto amato, sviluppò un intenso terrore di trovarsi in posti affollati o con gente sconosciuta. Temeva inconsciamente che gli altri avrebbero potuto criticarlo e considerarlo un fallito nella misura in cui non fosse riuscito più a trattenere il forte dolore che aveva bisogno di esprimere.

 

Rivolgersi a uno psicologo può essere utile per comprendere e superare le credenze patogene alla base dei sintomi agorafobici, e a esprimere quei sentimenti e quei bisogni che da esse sono ostacolati.

 

 

Dott.ssa Giorgia Abate